I social network hanno profondamente modificato le relazioni tra le persone, anche all'interno del contesto lavorativo. Non è però detto che questo tipo di interazione sia sempre proficua e piacevole, sia per il datore di lavoro che per i dipendenti: a parlarne dalle pagine di ReadWrite è Dan Schawbel, esperto di relazioni sociali mediate e della Generazione Y, la fascia d'età più immersa nelle nuove tecnologie pronta ora a lanciarsi nel mondo del lavoro.
Il primo dato che balza all'occhio dall'analisi dell'esperto, è come i social network siano più fonte di tensione che d'aiuto in ambito lavorativo. Non solo le interazioni in ufficio si fanno sempre meno faccia a faccia preferendo una comunicazione mediata, anche quando sarebbe più comodo rivolgersi a voce al collega di turno, ma i social media alimentano insoddisfazione e sospetto. Rendendo più labile il confine tra sfera privata e professionale, si vengono a creare situazioni di sconforto per l'obbligo morale di accettare i colleghi di lavoro fra i propri amici, pena litigi e recriminazioni in ufficio. Inoltre, chi decide di mantenere privati i propri profili Twitter, Facebook e Linkedin, è solitamente mal considerato dalla dirigenza, perché la privacy è vista come veicolo per "nascondere qualcosa": commenti sull'azienda, divulgazione di informazioni riservate, la ricerca di lavoro presso un competitor.
Tutti fattori che non corrispondono necessariamente a una condizione reale - un dipendente può mantenere il profilo privato semplicemente perché non vuole far circolare fra i colleghi le fotografie in costume scattate durante l'ultima vacanza estiva - ma sempre più di peso all'interno del mercato professionale. Non è un caso, infatti, che nei colloqui di lavoro gli addetti alle risorse umane di frequente facciano di tutto per aver accesso ai profili dei candidati, spesso infrangendo anche la legge obbligando il malcapitato di turno a fornire nome utente e password.
Vi è poi un gap di tipo generazionale che di giorno in giorno crea sempre più problemi in ambito professionale, quello tra Millennials e generazioni precedenti. Per Millennials si intendono tutti coloro che hanno passato gran parte della loro crescita in compagnia delle nuove tecnologie e, per tanto, ne sono completamente immersi. Statisticamente si fa corrispondere questa generazione tra la fascia dei nati tra il 1982 e il 2001, sebbene il fenomeno sia più evidente all'estremità superiore della forbice, ovvero fra coloro che hanno raggiunto i vent'anni da poco e si apprestano, quindi, a inserirsi sul mercato lavorativo per la prima volta. Per questi individui, i social network sono tanto naturali quanto il respiro e l'alimentazione, un bisogno di stampo narcisistico a cui sembra non vogliano rinunciare per nessun motivo. Il primo problema che sorge, allora, è che questi giovani si connetteranno ai social network anche durante l'orario d'ufficio e vi è poco che il datore di lavoro possa fare per limitare il fenomeno, anche perché al blocco della rete aziendale corrisponde il ricorso alla connettività personale con smartphone e tablet. Inoltre, i Millennials tendono a scontrarsi con le precedenti Generazione X e Baby Bloomers, le quali invece preferiscono sfruttare le interazioni sociali solo ed esclusivamente a scopo privato. Per quanto orientati al sé - il Time recentemente li ha nominati la "Me Me Me Generation" - i Millenials sono però una risorsa irrinunciabile per le aziende e richiedono, quindi, una completa revisione dei rapporti canonici in ufficio. Sono irrinunciabili perché non vi è nessuno che possa sfruttare al meglio le peculiarità della Rete e avviare progetti di successo come i Millennials - d'altronde, personaggi di spicco dell'universo IT come lo stesso Mark Zuckerberg (classe 1984), fanno proprio parte di questa generazione. Ma sono anche pericolosi in senso lato perché, per quanto narcisistici, sembrano aver un senso dell'etica e della giustizia più spiccato delle generazioni antecedenti, quindi è molto probabile che denunceranno pubblicamente - e via social network - l'eventuale trattamento non consono ricevuto sul posto di lavoro. Ed essendo la fascia d'età dei precari e dei sottopagati per antonomasia, non mancano loro le casistiche su cui lamentarsi. Una questione non da poco per il mantenimento del buon nome di un brand.
Fonte: Read Write