Lo shopping online è una modalità sempre più diffusa per fare acquisti: i prezzi concorrenziali, uniti alla comodità di vedersi il prodotto comodamente recapitato a casa, trovano l'approvazione di un numero sempre più alto di consumatori.
Per questa ragione, i proprietari di un negozio virtuale adottano diverse strategie per attirare i clienti: si investe sulla promozione tramite i social network, si realizzano campagne di marketing via mail, si assoldano testimonial o si lanciano delle offerte irrinunciabili. Non tutti i siti, tuttavia, seguono queste modalità canoniche: da un recente studio, è infatti emerso come parecchi portali ricorrano a tecniche fin troppo spinte, spesso oltre alle consuetudini di buon senso per il commercio.
Sono molte le modalità con cui i siti, soprattutto quelli che non godono di un'elevatissima reputazione, tentano di ingannare gli utenti per convincerli all'acquisto.
Non tutte queste tecniche rappresentano una violazione della legge, sebbene alcune siano del tutto esecrabili dal punto di vista etico. Di seguito, le più diffuse.
Falsi testimonial
L'usanza di ricorrere a falsi testimonial, per quanto nota ormai da decenni, sembra essere dura a morire anche sul commercio online moderno. Una pratica molto diffusa prevede di suggerire al navigatore il risparmio accumulato da un altro acquirente, spesso geograficamente vicino.
Sarà capitato a molti, ad esempio, di entrare in uno shop virtuale e trovare l'immagine di uno sconosciuto, con associate frasi come "Luigi di Rho ha risparmiato 200 euro acquistando questo prodotto”.
Sebbene esistano siti che riportano l'esperienza e le review dell'utente, con tanto di certificazione, molti altri producono questi testimonial dal nulla.
La fotografia è solitamente presa da un archivio di scatti stock, mentre la vicinanza geografica è determinata per approssimazione in base alla localizzazione teorica del proprio indirizzo IP. A meno che il portale non riporti la metodologia di rilevazione delle recensioni, riferimenti a servizi di certificazione e la possibilità di osservare il profilo dell'utente, bisognerebbe diffidare.
Falsi sconti
Frequentemente, i siti di commercio elettronico giocano con i prezzi dei prodotti, per convincere gli acquirenti dell'esistenza di un falso sconto. Semplicemente, il prezzo originario del bene venduto viene innalzato del 15 o del 20%, barrato con un'evidente linea rossa e proposto all'utente a prezzo promozionale.
In realtà, non viene applicato nessuno sconto: la riduzione non è infatti sul listino originale di vendita, bensì su quello sottoposto a manipolazione.
L'utente poco avvezzo ai confronti, oppure neofita degli acquisti online, potrebbe non cercare l'articolo altrove accorgendosi di quella che potrebbe configurarsi come una truffa, convincendosi di aver fatto un affare che in realtà non esiste.
Grigio strategico
Alcuni portali di e-Commerce non guadagnano unicamente con la vendita di prodotti e servizi, ma anche con la pratica - davvero opinabile - della rivendita dei dati personali a scopo pubblicitario.
Per ovviare ad alcune recenti disposizioni di legge, apparse qua e là in tutto il mondo, diversi siti hanno fatto ricorso a una tecnica a dir poco singolare: quella del grigio strategico.
Quando l'utente si trova a dover fornire i propri dati personali, e a scegliere se consentire l'accesso a scopo pubblicitario o negare questa possibilità, si trova davanti a due box. Quello affermativo con testi di colore nero, quello di rifiuto in grigio chiaro. Poiché l'utente è portato per abitudine a credere che i pulsanti e le spunte in grigio chiaro non siano attive - il famoso "greyed out” - si convince di dover necessariamente acconsentire al trattamento dei dati per concludere l'iscrizione.
Dark Pattern
I falsi testimonial, così come altri metodi più o meno subdoli per irretire un cliente di passaggio, rientrano nell'universo dei "dark pattern”: un termine coniato nel 2010 dal britannico Harry Brignull.
Si tratta di un insieme di tecniche appositamente studiate per approfittare della confusione, o della mancanza d'esperienza, del navigatore: l'esempio classico è quello del pulsante d'iscrizione a un servizio, riportato in bella evidenza sul sito, accompagnato da un link di cancellazione spesso nascosto in menu e sottomenu.
Secondo uno studio condotto dall'Università di Princeton, basato sulla scansione di oltre 10.000 siti, ha rinvenuto almeno 1.200 negozi online che presentavano almeno un dark pattern. Per quanto possano apparire irrispettosi degli utenti, nella maggior parte degli stati occidentali questi dark pattern non sono ancora stati regolarizzati e, di conseguenza, l'utente si trova in un far west di pratiche al limite della legalità, tutte a suo svantaggio.