Il Secure Boot non smette di far parlare di sé. Mentre Fedora e Ubuntu hanno preso la loro posizione riguardo l´uso di tali distribuzioni sui PC di nuova generazione, la Free Software Foundation è tornata a farsi sentire dopo la campagna avviata lo scorso ottobre con un whitepaper, pubblicato sulle pagine del sito della fondazione.
Chi distribuisce sistemi limitati di solito fanno appello agli interessi sulla sicurezza. Affermano che se del software non approvato venisse usato sulle macchine che loro vendono, i malware andrebbero fuori controllo. Solo consentendo software che loro approvano, possono proteggerci.
E ancora:
L´affermazione ignora il fatto che noi abbiamo bisogno di protezione da loro. Non vogliamo una macchina che esegue solo software approvato da loro -- i nostri computer dovrebbero solo eseguire software approvato da noi.
John Sullivan ha dimostrato molto interesse alla soluzione di Fedora - "la proposta così come descritta è compatibile con la GPLv3" - mentre non vede di buon occhio quella adottata da Ubuntu.
Quest´ultima prevede infatti l´adozione di efilinux, bootloader non compatibile con l´attuale versione della General Public License - sotto la quale è stato rilasciato anche GRUB 2 - e che secondo Sullivan può minare la libertà degli utenti. Scelta, quest´ultima, ritenuta una incomprensione della licenza stessa ("nessun contatto dai rappresentanti di Canonical", ha dichiarato inoltre il direttore esecutivo), ma che spera comunque in un passo indietro.
Nel whitepaper pubblicato dalla FSF compare anche una dichiarazione pubblica, per la quale anche Debian si è offerta come supporter contro il Secure Boot, e con cui firmandola ci si impegna a non acquistare hardware dove non sia possibile installare una distribuzione GNU/Linux.