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L'embed social è la soluzione per i problemi di copyright?

L'embed social è la soluzione per i problemi di copyright?
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Il web non rappresenta più, almeno sul fronte dell'editoria online, quell'universo completamente deregolamentato dell'inizio degli anni 2000. Soltanto una decina di anni fa, ad esempio, era consuetudine abbastanza diffusa riutilizzare fotografie trovate su Google Immagini, senza troppo badare al copyright. Oggi i professionisti delle pubblicazioni digitali si sono invece fatti più attenti al rispetto dei diritti altrui e, oltre alla nascita di agenzie di distribuzione specializzate, sono apparsi servizi per ogni esigenza: dagli stock a pagamento alle numerose raccolte royalty-free, passando per le licenze Creative Commons, condividere contenuti rispettandone i diritti è decisamente semplice. Tra le tante novità apparse di recente, però, come si configura l'embed social?

Incorporare in un articolo una fotografia condivisa su Instagram da altri può costituire, almeno in senso lato, una violazione dei diritti del proprietario?

Naturalmente, con embed social si intende la possibilità di incorporare in un testo una condivisione effettuata da altri su Facebook, Instagram, Twitter e via dicendo, impiegando l'apposito codice offerto dalle piattaforme. Non si tratta, invece, del download di contenuti altrui e del caricamento degli stessi sui propri server, senza riconoscerne l'origine. Sebbene di primo acchito l'embed non sembri un'attività in violazione del copyright, la questione potrebbe essere molto più complessa.

Un caso a stelle e strisce

Le controversie sull'embed social e sulla possibile violazione dei diritti altrui hanno già un precedente, sebbene unico nel suo genere. Il tutto risale al 2016, quando diversi utenti Twitter hanno deciso di salvare e condividere delle immagini apparse su Snapchat, scattate dal fotografo Justin Goldman, con protagonista il giocatore di football americano Tom Brady.

Diverse testate online a stelle e strisce, non essendo queste immagini disponibili tramite le classiche agenzie, hanno quindi pensato di incorporare i tweet in questione all'interno dei loro articoli. Il detentore dei diritti ha conseguentemente deciso di fare causa ai magazine online, azione legale ritenuta ammissibile dalla corte distrettuale di New York.

La notizia ha generato una certa preoccupazione fra gli editori di tutto il mondo, considerato come l'embed social sia una pratica decisamente diffusa. In realtà, in questo caso la discriminante sembra essere un'altra: non è tanto la procedura di embed ad aver determinato l'ammissibilità del risarcimento, quanto il fatto si trattasse di condivisioni illecite di materiale protetto. Il fotografo ha infatti reso disponibili gli scatti su Snapchat, piattaforma nota per le sue pubblicazioni a scadenza e priva della possibilità di incorporamento, mentre gli utenti Twitter ne hanno effettuato delle copie senza il relativo permesso.

Allo stesso tempo, rimane meno chiaro il ruolo dei vari magazine che, pur avendo incorporato i tweet, non sono certamente i soggetti che hanno materialmente caricato su Twitter gli scatti. Inoltre, è necessario considerare come il caso in questione si riferisca agli Stati Uniti: ogni Paese presenta un corpo di norme assai differenziate per la protezione del diritto d'autore.

Che fare?

Così come accennato, il caso statunitense ha generato comprensibile preoccupazione, sebbene si tratti di un episodio unico nel suo genere. Nella pratica, incorporare un elemento social non rappresenta automaticamente un'appropriazione, anche perché il contenuto rimane sui server della piattaforma d'origine nella piena disponibilità del proprietario, il quale in ogni momento può rimuoverlo.

Quando si usa il codice di incorporamento, si prenda ad esempio Twitter, si sta semplicemente richiedendo alla piattaforma social di visualizzare un tweet specifico, senza peraltro superare i confini tecnici della piattaforma stessa. Ancora, il detentore dei diritti è ben consapevole degli strumenti di embed offerti da alcuni social e, per vari servizi quali YouTube, è anche autonomamente possibile escludere questa possibilità.

Considerato come il contesto normativo in cui si agisce rimanga oggi abbastanza complesso da definire - quello statunitense è l'unico caso noto - in via cautelativa può essere utile fare un controllo sulla fonte prima di procedere all'operazione. Ad esempio, verificando che il contenuto multimediale sia stato effettivamente pubblicato dal proprietario, anziché rilanciato da terzi sui social.

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