L'advertising rappresenta una porzione importante delle attività imprenditoriali online. È infatti fondamentale per la promozione di un prodotto o un servizio, ma anche e soprattutto come entrata abbastanza sicura per il mantenimento di un progetto, si tratti di un sito editoriale, un portale d'intrattenimento e molto altro ancora. Le modalità con cui la comunicazione pubblicitaria viene condotta, tuttavia, potrebbero portare a degli spiacevoli effetti indesiderati, tali da compromettere la bontà del proprio impegno.
Ciò avviene quando si abusa di strumenti che potrebbero limitare l'esperienza dell'utente, ad esempio comportandone un'eccessiva distrazione o un'estrema lentezza di caricamento: la mancata performance rappresenterà un pessimo biglietto da visita per la propria azienda e la diffusione sarà capillare, dato il passaparola negativo. Ma quali sono le strategie d'advertising più odiate dagli utenti, siano essi desktop o mobile?
A rispondere a questa risposta ci pensa Nielsen Norman Group, con una recente ricerca condotta su un campione rappresentativo di 452 utenti in rete, intervistati sulla percezione d'invadenza di alcune tra le più popolari tecniche di comunicazione pubblicitaria. Si tratti del classico advertising modale, oppure del sempre più frequente ricorso alla riproduzione automatica di contenuti, vi sono degli elementi capaci di innervosire letteralmente gli utilizzatori, riducendo conseguentemente le possibilità di successo del proprio business. Di seguito qualche considerazione, sulla base di alcune delle evidenze emerse dalla ricerca.
Autoplay
L'autoplay, ovvero la riproduzione automatica di contenuti sonori o visivi, è diventato negli ultimi anni l'erede delle ben note finestre pop-up. Così come nei primi anni 2000 la comparsa di pop-up veniva giudicata come il fattore di maggior disturbo per l'advertising, oggi è il mancato controllo dei contenuti multimediali a generare i maggiori malumori. In una scala da 1 a 7, ovvero dal minor al massimo disturbo, questa pratica raggiunge quota 5.79 su desktop. Ed è ben facile capire le motivazioni: il navigatore viene disturbato nelle proprie attività, mentre spesso viene improvvisamente spaventato dopo aver dimenticato di ridurre il volume degli altoparlanti o durante l'uso di cuffie.
Considerato come i contenuti pubblicitari in autoplay raramente si traducano in una conversione, proprio perché tutt'altro che capaci di attirare l'attenzione del pubblico, un utile consiglio potrebbe essere quello di convincere l'utente ad avviare personalmente la riproduzione con una call to action o, quantomeno, lasciare un video in avvio automatico con il sonoro inizialmente disattivato.
Link fittizi
Non capita di rado che l'utente, convinto di dirigersi verso una determinata risorsa tramite link, si ritrovi invece altrove o, ancora, subissato di tab multipli nella finestra del browser. Questo perché si fa sempre più frequente l'abitudine di confezionare descrizioni al link che effettivamente non corrispondono all'url di approdo dello stesso, all'unico scopo di collezionare un click. Oltre a rappresentare una strategia spicciola e dagli evidenti svantaggi in termini di indicizzazione, è quanto di più facile per spingere l'utente altrove.
Ogni link dovrebbe essere effettivamente legato alla risorsa descritta e, ancora, sarebbe meglio evitare la contestuale apertura di tab multipli. In caso fosse necessario monitorare il click dell'utente, garantendo che lo stesso abbia effetto in termini pubblicitari, meglio aggiungere delle stringhe di tracciamento nella stessa URL. Naturalmente, il tutto in base alle normative vigenti, spiegando il tipo di dati raccolti nell'apposita policy sulla privacy sempre disponibile sul proprio sito.
Contenuti coperti
Non si può dire le pop-up siano effettivamente scomparse, hanno solo cambiato forma. Un'usanza frequente degli ultimi anni, ad esempio, è quella di coprire i contenuti di una pagina web con un livello aggiuntivo opaco, affinché l'utente non possa avervi accesso finché non completa un'azione pubblicitaria, quali la visione di un video o l'iscrizione a una newsletter. Considerato come il navigatore stesso non voglia perdere tempo, e come si debba catturare la sua attenzione in poco meno di 5 secondi, questo metodo è anche il più semplice per farlo fuggire su altri lidi, magari quelli della concorrenza.
Anziché sequestrare l'attenzione dell'utente, costringendolo a compiere un'azione pena la perdita del contenuto, meglio stuzzicarne la curiosità in altro modo, tra call-to-action e sistemi avanzati di engagement. I risultati saranno garantiti, senza stress per i propri consumatori.
Animazioni e rallentamenti
L'universo della programmazione ha già sposato ormai da anni HTML 5, quello dell'adveristing non sembra voler abbandonare Flash. I risultati, però, possono essere disastrosi. Innanzitutto per l'universo mobile: la gran parte delle piattaforme oggi esistenti, da iOS ad Android, non supporta questo standard.
Non è però tutto, poiché non capita di rado che anche un piccolo banner innocuo in Flash possa occupare percentuali elevatissime delle risorse della CPU, causando rallentamenti e alimentando lo stress dell'utente. A volte, una comunicazione statica ha molte più possibilità di riuscita.
Fonte: Nielsen Norman Group