«Saranno sempre i testi ad avere l'importanza maggiore, sarà la loro qualità a decidere se la gente leggerà un giornale o un altro. E la capacità di inglobare, nel testo, altre informazioni (non necessariamente testuali) sarà la sfida che i giornalisti online dovranno saper affrontare».
Riccardo Staglianò, scrittore e giornalista, si occupa prevalentemente di new media. Ha pubblicato vari libri su Internet e, più recentemente, "Bill Gates. Una biografia non autorizzata" (Feltrinelli, 2000). Oltre all'attività giornalistica, si occupa di formazione insegnando "Teoria e tecniche dei nuovi media" all'università Roma Tre.
Con lui parliamo del futuro del giornalismo online.
In una recente ricerca sulla lettura in rete, realizzata dalla Stanford University, si è scoperto che i lettori di notiziari online tendono a concentrare più l'attenzione sui testi che sulle immagini. Ci troviamo di fronte a un nuovo genere di lettori?
È un risultato che ha preso in contropiede molti esperti di new media, e soprattutto di designer di siti che puntavano molto su animazioni ed effetti speciali vari. Per chi ha scommesso tutto su tecnologie come Flash e Shockwave, molto utilizzate nelle homepage delle celebrità o dei videogiochi online, è stata una notizia ferale. Alla fine, diceva lo studio della Stanford University, realizzato in collaborazione con il Poynter Institute, e pubblicato nel maggio del 2000
:
- il 92% di chi legge abitualmente giornali elettronici si sofferma per prima cosa su titoli e articoli;
- poco più della metà (64%) si lascia attrarre dalle fotografie;
- appena 2 su 10 guardano il corredo di schede e grafici.
Tutto quello che si diceva, infatti, sulla specificità multimediale dei giornali online, ovvero il fatto che - a differenza di quelli di carta - potevano incorporare, oltre alle immagini, addirittura animazioni, suoni e video, subisce un radicale ridimensionamento e il buon vecchio testo rimane l'attrattiva principale.
Come si spiega secondo te questo risultato?
Alcuni hanno letto questo dato come figlio di un momento di transizione: il Web è ancora lento, e questo spiega la persistenza della leggera parola sulla pesante grafica. Secondo Steve Outing, decano dei commentatori sul giornalismo online, "su Internet le immagini hanno una qualità minore e vengono visualizzate più lentamente" e per questo non risulterebbero così eccitanti per i nuovi lettori.
Questo alibi, però, non reggerà più per molto: dopo tanti anni di promesse la larga banda sta diventando, finalmente, una realtà. E con la velocità di connessione che ne deriverà anche le immagini (e il resto) potranno fluire senza intralcio. Comunque, nelle mia opinione, saranno sempre i testi ad avere l'importanza maggiore, sarà la loro qualità a decidere se la gente leggerà un giornale o un altro. E la capacità di inglobare, nel testo, altre informazioni (non necessariamente testuali) sarà la sfida che i giornalisti online dovranno saper affrontare.
La sfida, mi pare di capire, è quella del multimediale. A quale tipo di informazioni ti riferisci?
Intendo in primo luogo i testi altrui, quelli non prodotti dal giornalista redattore del testo principale, ovvero i migliori articoli sullo stesso argomento apparsi sul Web, selezionati per conto del lettore, superando il timore un po' retrò per cui è un peccato mostrare ai lettori quello che fanno i concorrenti.
La rete insegna proprio il contrario, ovvero che i siti che sposano concezioni "chiuse", proprietarie dell'informazione, sono condannati all'appassimento mentre quelli che interiorizzano attitudini "aperte", che non esitano a raccomandare i prodotti della concorrenza - se ciò va nell'interesse del lettore - si conquisteranno la loro fiducia, generando poi la sua gratitudine.
In secondo luogo si dovranno linkare anche tutte le altre cose che testi non sono ma che li arricchiscono come dei brani mp3 o degli spezzoni di video, anche quando sono di qualità artigianale. Cosa c'è di meglio di fare un rimando ipertestuale al file musicale di una canzone quando stiamo parlando di quella canzone? Bene, non costerebbe niente ma nessuno lo fa - almeno tra le testate "serie" e istituzionali - per mille timori di essere ritenute complici nella violazione del copyright o per semplice mancanza di inventiva.
Secondo Tim Berners-Lee è necessario passare dall'interattività a quella che lui chiama "intercreatività": "Sul Web dovremmo essere in grado non solo di trovare ogni tipo di documento, ma anche di crearne, e facilmente. Non solo di seguire i link, ma di crearli, tra ogni genere di media. Non solo di interagire con gli altri, ma di creare con gli altri." Qual è e quale sarà il ruolo creativo dei lettori nel Web, soprattutto per quel che riguarda la stampa online?
La vera nuova frontiera aperta dal giornalismo online è quella di consentire - come mai era successo prima - al lettore di "fare" il giornale. Non si tratta più di una proposizione demagogica, tanto per dire, come il caso di Plastic concretamente dimostra.
Nato negli Stati Uniti nel gennaio del 2001 il sito-giornale si autopresentava così: "Piazzandosi a metà strada tra anarchia e gerarchia, Plastic è una collaborazione in diretta tra i più svegli lettori e i migliori giornalisti del Web, un posto dove suggerire e discutere le notizie più interessanti, le opinioni, le indiscrezioni che circolano online".
E infatti chiunque si imbatta in un articolo che gli susciti curiosità, approvazione o sdegno può lanciare nello stagno del nuovo giornale elettronico il sasso della provocazione: "Un pezzo su Time recensisce un libro che sostiene la tesi che una moglie sottomessa è indispensabile per far fare carriera al marito..." segnala un lettore anonimo. "Sto forse impazzendo? - ribatte immediatamente un altro - le donne che ci credono meritano mariti che le mettano sotto". E dopo solo 24 minuti da quando lo spunto è stato messo in rete già la discussione ribolle. Dieci minuti più tardi sono arrivati, sono stati letti (dai redattori che filtrano i messaggi) e autorizzati altri 11 commenti di lettori.
Ogni volta che si torna sullo spunto originario l'orologio di Plastic si aggiorna e dice sia quanto tempo è passato da quando è stato pubblicato sia quanti nuovi interventi esso ha suscitato sino a quel momento. È una cosa nuova, metà giornale, metà gruppo di discussione, un prodotto informativo che nasce, per la maggior parte, dalle segnalazioni e dagli interessi dei lettori.
Tra le tue attività, hai contribuito a fondare la rivista online di cultura Caffè Europa. Qual è il "valore aggiunto" della presenza sul Web di una rivista culturale?
Mi sembra che si possa sostenere, senza timore di smentita, che la rete si addice alla cultura perché emenda il problema principale che affligge invece le riviste che ne trattano, ovvero avere un pubblico troppo ristretto rispetto ai costi che produrle comporta. Azzerando - tendenzialmente - i costi di produzione (stampa, carta, distribuzione, etc) Internet si configura come medium ideale per qualsiasi tipo di pubblicazione di nicchia.
Non solo: anche il pubblico del Web è generalmente un pubblico scelto, di cultura medio-alta, smaliziato, che ha varie curiosità intellettuali. Il combinato disposto dei due fattori ha fatto sì che molte riviste di cultura - o con attitudine culturale - abbiano in questi anni visto la luce sul Web. Ricordiamo, per tutte, le ottime
ma la lista potrebbe essere assai più lunga.
Nonostante questi indiscutibili vantaggi, il settore dei contenuti online (soprattutto quelli culturali), ha vita difficile...
È così, poche di queste esperienze hanno saputo far quadrare i conti: Feed ha dovuto chiudere (per riciclarsi parzialmente dentro Plastic, di cui è socia fondatrice), Salon ha saputo diversificare meglio di tutte le altre i propri canali di reddito: oltre alla pubblicità, infatti, pratica con successo la syndication, ha lanciato varie iniziative editoriali che hanno incontrato la risposta del pubblico e da alcuni mesi ha presentato anche una versione premium per chi è disposto a pagare per non vedere i banner e per poter avere delle foto (porno soft) d'autore e delle rubriche in esclusiva. A quanto ci consta, però, l'esperimento non ha avuto un grande seguito.
Slate, infine, ha provato varie strade e, dopo l'incoraggiante esordio, aveva creduto di poter chiedere ai propri numerosi lettori di pagare una ventina di dollari per un abbonamento annuale. Dopo meno di un anno la marcia indietro: sono davvero rarissimi, a oggi, i casi in cui sia riuscita la transizione dal free al fee, dall'offerta gratuita di contenuti a quella a pagamento.