La campagna di Google contro i link testuali a pagamento: analizziamo quali sono gli aspetti emersi riguardo a questo tema controverso. Vendere link è contrario alle linee guida di Google? Come comportarsi per evitare perdita di ranking?
La cronaca degli eventi
Il 14 Aprile del 2007 sul blog di Matt Cutts (noto esponente del quality group di Mountain View) appare un post nel quale egli invita gli utenti a segnalare, tramite l'apposito modulo per lo spam report di Google, siti contenenti link a pagamento, inserendo la parola "paidlink" nel campo relativo al tipo di infrazione da denunciare.
In realtà, già dal 2005 nel suddetto blog si cominciava a discutere riguardo all'influenza negativa sui risultati delle ricerche indotta dal meccanismo dei link testuali a pagamento.
Ma con questo intervento di Aprile viene per la prima volta stabilita e resa esplicita una strategia ben precisa da parte di Google: tramite la raccolta delle informazioni dallo spam report sarà possibile modificare gli algoritmi del motore di ricerca con il fine di penalizzare siti web che contengano la fornitura, dietro compenso, di link utili a trasmettere (e quindi di fatto "vendere") PageRank.
Il 21 Agosto 2007 alla conferenza SES (Search Engine Strategies) di San Jose viene dedicata una sessione all'argomento con l'emblematico titolo "Are Paid Links Evil?". Il sottotitolo era
"Search engines, especially Google, say don't do 'em. But some search marketers say paid links work. Are paid links subverting search quality? Or are they simply a fact of life, here to stay? We explore the issues, in this session."
Già in fase di presentazione della discussione appare dunque netta la presa di posizione nei confronti dei paid links, giudicati in grado di "sovvertire la qualità delle ricerche".
Durante questa sessione Matt Cutts sosterrà che i link a pagamento in grado di passare PR sono contrari alle linee guida di Google, etichettandoli come "spazzatura" e promettendo interventi da parte del motore di ricerca, sia in fase di elaborazione degli algoritmi sia con l'apporto dei quality rater "sguinzagliati" da Mountain View.
Più recentemente l'intervento di Cutts, postato sul notissimo Search Engine Journal il 29 Ottobre 2007, annuncia che l'ultimo aggiornamento del PageRank avrebbe colpito, con una penalizzazione in termini di valore assegnato, proprio i siti contenenti link a pagamento in grado di trasmettere PageRank. Di seguito un estratto:
"The partial update to visible PageRank that went out a few days ago was primarily regarding PageRank selling and the forward links of sites. So paid links that pass PageRank would affect our opinion of a site."
Opinioni e soluzioni
Inutile segnalare la quantità di commenti, critiche o vere e proprie accuse, mosse da alcuni protagonisti del settore, riguardo alle diverse esternazioni di Matt Cutts, e le richieste di spiegazioni più chiare sullo spirito e in particolare sulla la natura pratica di queste penalizzazioni promesse e/o attuate.
L'impatto di simili operazioni infatti non sarebbe indifferente soprattutto per gli operatori che negli anni, studiando gli sviluppi delle SERP, hanno creato significativi business legati ai Links Ads. E in questo senso sono considerabili logiche le proteste e le critiche, in quanto appare evidente l'entità del danno in caso di penalizzazioni o ban da parte di una delle prime fonti di traffico presenti nel web, appunto Google.
Negli ultimi anni infatti l'evoluzione degli algoritmi dei motori di ricerca ha gradualmente aumentato il peso degli link ricevuti dai siti web ai fini del posizionamento. Il meccanismo del PageRank di Google in particolar modo, una formula in grado di assegnare un valore ed esternarlo tramite la celeberrima "barretta verde", ha riscosso un successo netto, creando di fatto un "mercato" di link florido e, fino ad oggi, in continua espansione. Link in grado di aumentare la popolarità di un sito, il suo livello di PageRank, e in definitiva di determinarne un miglior posizionamento nelle SERP.
La compravendita di collegamenti ha in alcuni casi generato sopravvalutazioni di siti web, in grado di ottenere alti punteggi di PageRank indipendentemente dalla qualità e popolarità dei contenuti, servizi o prodotti offerti, ma piuttosto semplicemente acquistando link da altri siti più autorevoli (in termini di ranking).
Questi avvenimenti non hanno evidentemente garantito (agli occhi degli esperti di Google) il rispetto di criteri di qualità e veridicità nell'assegnazione del PR, in alcuni casi favorendo nelle SERP siti web disposti a comprare i propri link, a discapito di progetti validi spinti da un principio di concorrenza leale, fondato cioè su link in entrata generati spontaneamente.
Tra le critiche più diffuse sulla scelta di Google ci sarebbe l'accusa, rivolta al motore di ricerca, di una volontà discriminatoria (se non monopolistica) nei confronti delle sponsorizzazioni tramite link concorrenti rispetto ai programmi Adsense/Adwords.
Il tutto sarebbe quindi, secondo le contestazioni, deleterio per l'autonomia e l'autodeterminazione di un mercato sul quale molte sono le aspettative (e gli investimenti) di soggetti grandi e piccoli: la pubblicità on line.
A questo proposito in realtà è necessario chiarire un punto fondamentale della vicenda: di fatto Matt Cutts e Google non hanno in nessun modo posto sotto osservazione o penalizzazione la vendita di link in quanto tale, ma esclusivamente la presenza di link a pagamento in grado di "passare" PageRank.
Come è possibile leggere da una revisione del post di Matt Cutts, Google ritiene assolutamente consentito, senza incorrere in svalutazioni di nessun genere, inserire link sponsorizzati nelle proprie pagine, evitando però che essi influiscano sul ranking assegnato dai motori di ricerca.
A tale scopo è possibile ad esempio utilizzare l'apposito tag "nofollow" all'interno di ciascuno collegamento pubblicitario, come nel presente codice:
<a rel="nofollow" href="http://..." >
Questo tag è in grado di impedire allo spider del motore di seguire il link e di conseguenza permette di non influenzare il PR del sito collegato (e il posizionamento dello stesso nelle SERP).
Un'altra soluzione indicata da Matt Cutts è quella di inserire o indirizzare i link verso pagine interdette ai motori di ricerca tramite appositi comandi nel file robots.txt:
Per escludere una directory:
User-agent: *
Disallow: /directory da escludere/
Per escludere una pagina:
User-agent: *
Disallow: /pagina.htm
Per certi versi quindi la politica di Google nei confronti dei link a pagamento non apparirebbe dettata da fini monopolistici o repressivi, ma assolutamente coerente con le linee guida per i webmaster, e in linea con il perenne studio di algoritmi in grado di avvicinare sempre di più i risultati delle ricerche a criteri di attinenza e qualità. Ma nella comunità i dubbi sull'opportunità e le finalità di queste misure rimangono, e i comportamenti futuri del colosso californiano forse aiuteranno a fare maggiore chiarezza.