Parole che fanno ben sperare quelle pronunciate due giorni fa dal Ministro per l'Innovazione e le Tecnologie, Lucio Stanca. In un comunicato stampa infatti viene espressa chiaramente l'intenzione di diramare una direttiva per l'adozione di standard aperti all'interno della pubblica amministrazione.
Questo è il primo dei risultati ottenuti a seguito dei lavori della commissione per l'"Indagine conoscitiva sul software a codice sorgente aperto nella Pubblica Amministrazione" presieduta dal prof. Angelo Raffaele Meo del Politecnico di Torino. Dopo un'attenta analisi infatti già a Giugno i risultati della commissione avevano aperto la strada al software libero purchè le scelte avvenissero a seguito di una reale stima tra i costi e i benefici. La commissione reputa quindi il software libero come qualcosa di realmente utile per la pubblica amministrazione, sottolineando anche la maturità e la serietà dei prodotti del free software, supportati anche da colossi dell'Information Technology.
E così il 10 Settembre a seguito di questa indagine è avvenuto l'annuncio da parte del Ministro Stanca dell'intenzione di voler varare prossimamente una direttiva che richiede espressamente l'adozione di standard aperti nella Pubblica Amministrazione. In questo modo, secondo Stanca, si consentirà di: tutelare "le pubbliche amministrazioni in termini di riservatezza dei dati, privacy, sicurezza, funzionalità, continuità del servizio; di ottimizzare gli investimenti nella PA; attraverso l'e-Government favorire la diffusione dell'innovazione tecnologica in Italia; garantire le condizioni di sviluppo e promozione del mercato".
Più semplicemente questa direttiva è una conquista per tutti, anche per coloro che non conoscono il software libero o che non sono minimamente interessati all'informatica. L'adozione di standard aperti è una garanzia per il futuro, la certezza di non dover esser vincolati a una determinata piattaforma o a un determinato produttore di software. Apre questo la strada al software libero, chiudendola al software proprietario? Assolutamente no. Significa soltanto che per un prodotto è una caratteristica da preferire la possibilità di gestire i propri dati in un formato le cui specifiche sono note e liberamente accessibili. Che poi il programma in questione metta a disposizione anche il codice sorgente questo non è richiesto. È il caso ad esempio di StarOffice, che utilizza formati aperti per i propri documenti, ma del quale non è disponibile il codice sorgente come invece lo è per OpenOffice, da cui deriva.
Questa decisione è una inevitabile conseguenza del voler dare "pari opportunità" a ogni tipo di software, sia proprietario che libero, in modo da poter misurare la loro qualità in base al costo e a quello che sono in grado di offrire, agevolando il passaggio da un sistema a un altro proprio grazie all'adozione di questi standard, secondo gli ideali della libera concorrenza e del libero mercato. Per non parlare poi della fruibilità da parte dei cittadini dei documenti pubblici che troppo spesso richiedono la presenza di un determinato software commerciali per poter essere aperti.
Inoltre particolare attenzione verrà riposta nell'incentivare il riutilizzo tra le PA di software custom del quale si è titolare. Infatti secondo gli studi della commissione soluzioni personalizzate e commissionate su misura rappresentano la spesa maggiore per la Pubblica Amministrazione. Consentire di evitare sprechi favorendo il riutilizzo "interno" sappresenterebbe certamente un enorme vantaggio.
Concludendo la decisione del Ministro Stanca è la prima di (si spera) una serie di interventi atti a favorire il pluralismo informatico all'interno della PA. Le misure adottate, per nulla radicali, consentono alle amministrazioni un passaggio graduale verso un sistema che ha come effetto immediato quello di offrire sempre maggiori libertà e garanzie per il cittadino.